mercoledì 9 settembre 2009

Cina e Usa, gli opposti estremismi

L'Herald Tribune di oggi pubblica un intervento di John Foley sulle interessanti simmetrie e i ruoli giocati dagli Stati Uniti e dalla Cina nella partita dei cambiamenti climatici e del dopo Kyoto (nella foto l'inviato di Obama Todd Stern durante i tre giorni di colloqui sul clima a Pechino lo scorso giugno).
Aspettando il prossimo round di negoziati ONU a Bangkok ci sono aspettative per delle novità sul clima anche dalla riunione del G20 del 24 settembre a Pittsburgh.
Foley spiega come USA e Cina siano identici nella loro diversità. La Cina produce troppo e consuma tropo poco, l'America fa esattamente l'opposto. Sotto il profilo ambientale, sfruttando la produttività cinese, gli USA hanno delocalizzato le loro industrie. In Cina il 70% dell'energia è destinata all'industria, mentre negli USA la stessa percentuale è utilizzata dai privati cittadini, i consumatori.
Le giustificazioni per quanto poco hanno fatto i due paesi nella lotta ai cambiamenti climatici sono la conseguenza della loro condizione economica. I Cinesi rivendicano lo stesso diritto di inquinare dell'America del periodo industriale (sul conto globale delle emissioni prodotte ad oggi gli USA sono al 28%, la Cina solo all'8%. Gli Americani, da parte loro, dicono che non ha senso prendere impegni se anche la Cina non lo fa.
Gli insiders sanno che in questi mesi i colloqui tra i due paesi sono sempre più frequenti e che un'accordo alla COP-15 di Copenhagen è impensabile senza il loro avvallo. Secondo John Foley non è realistico pensare che le economie in via di sviluppo, come quella cinese, possano accettare un meccanismo cap and trade, ovvero un tetto alle emissioni, che significherebbe mettere un limite alla loro crescita. Foley, come sostenuto a suo tempo anche dall'Economist, propone invece una carbon tax globale, applicabile alla Cina, agli USA e al resto del pianeta.
Il secondo punto in discussione sono i costi della riduzione delle emissioni di CO2. Uno studio dell'università di Pechino ipotizza che ridurre le emissioni cinesi potrebbe costare 300 miliardi di Euro. Una cifra impraticabile per la Cina, ma solo l'uno per cento circa del PIL del G20 del 2008. Ecco perché le soluzioni - e gli impegni - possono essere presi e condivisi solo a scala globale
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