giovedì 21 agosto 2008

I misteri del Caucaso

Sarà colpa dell'ozio di Ferragosto, o forse della distrazione olimpica. Sta di fatto che di questa crisi tra Russia e Georgia per un po' non ho capito un tubo. Ho letto i giornali, ho visto Lucio Caracciolo fare la sua analisi a Primo Piano, ho scrutato la stampa estera nella rete ma non sono riuscito a farmi una opinione chiara.
Oggi ho finalmente trovato qualche nuovo e importante elemento di giudizio, sempre facendo surfing in rete. Due fondamentali interventi sulla stampa americana: uno di Mikhail Gorbachev sul New York Times e l'altro del ministro degli esteri russo Sergey Lavrov sul Wall Street Journal. Poi il comunicato ufficiale diffuso al termine del vertice NATO di Bruxelles.
Il primo dato politico di rilievo è che le due testate più autorevoli degli USA ospitano interventi di esponenti russi di alto profilo, i quali ambedue giustificano il ruolo di Mosca nella crisi georgiana. E se il ministro Lavrov lo fa con inevitabile spirito di corpo, molto meno prevedibile è la posizione di Mikhail Gorbachev, che con Putin e l'attuale governo russo non ha mai avuto particolare sintonia. Nel suo lungo editoriale dal titolo "La Russia non ha mai voluto una guerra" l'uomo della Perestrojka ribadisce che il governo di Mosca gode di una posizione forte e consolidata e non ha alcun bisogno di piccole guerre contro nemici minori. Secondo Gorbachev la colpa della crisi è tutta del "comportamento sconsiderato" del presidente georgiano Mikheil Saakashvili e la decisione del presidente russo Medvedev di sospendere le ostilità è stato "l'atto di un leader saggio e responsabile". Gorbachev lamenta la parzialità dell'informazione occidentale, particolarmente nei primi giorni della crisi. Tskhinvali, capitale dell'Ossezia del sud, "era un teatro di rovine fumanti e migliaia di profughi stavano fuggendo prima dell'arrivo delle truppe russe. Eppure la Russia era già accusata di aggressione" scrive Gorbachev sul New York Times. Gorbachev riferisce che Saakashvili si è ripetutamente rifiutato di sottoscrivere trattati che escludessero l'uso della forza e sostiene che se l'Occidente deciderà di incolpare la Russia e riarmare la Gerogia "una nuova crisi sarà inevitabile" e "occorrerà aspettarsi il peggio".
Il comunicato della NATO va proprio in questa direzione. La Georgia è da tempo nell'orbita USA, ha spedito truppe in Iraq ed è stata anche visitata da Bush nel 2005, quando ci fu peraltro un attentato al presidente americano, con una granata inesplosa lanciata a Tbilisi.
L'algida Condoleeza Rice ha prospettato azioni di isolamento nei confronti della Russia, a cominciare dall'esclusione dal G-8 e dal WTO. Dal canto suo Mosca ribadisce di non capire perché debba accettare senza condizioni l'indipendenza del Kosovo e vedere negata l'autodeterminazione dell'Ossezia e dell'Abhasia. E forse non ha torto.
La soluzione più semplice alla crisi del Caucaso la propone Andrew Meier sul Los Angeles Times: far entrare la Russia nella Nato. Del resto non sarebbe esattamente una novità, visto che Boris Yeltsin lo mise per iscritto già nel 1991, negli ultimi giorni dell'URSS. E lo stesso Putin sollevò il problema nuovamente nel 2000, poco dopo essere stato eletto.
L'ultimo commento a questa crisi di complicatissima lettura è il panico evidente di Berlù, diviso tra la sbandierata amicizia con Putin è l'obbligatoria fede occidentale filo NATO e Bush. E infatti la proposta di accordo tra le parti è stata gestita con intelligenza diplomatica da Nicholas Sarkozy, che ha dimostrato la differenza tra le chiacchiere e l'autorevolezza.

1 commento:

  1. Ti ringrazio delle riflessioni. Lo faccio un po' in ritardo ma Ti leggo solo oggi e non posso farne a meno perchè finalmente i miei dubbi nebulosi assumono un senso compiuto. Fin dal primo giorno di crisi avevo l'impressione che le cose non quadrassero, che non fosse così automatico stabilire chi fossero i buoni e i cattivi. Perchè la prima aggressione è di parte georgiana.
    L'obiettività in questo caso è tanto più importante perchè rara.
    Violetta

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